Beethoven, genio universale

Il 15 aprile 1902, nel Palazzo della Secessione di Vienna, fu inaugurata la XIV Mostra delle Arti Visive della Secessione dedicata a Ludwig van Beethoven. Per l’occasione furono svelati una statua policroma di Max Klinger, che rappresentava il compositore nelle sembianze di una divinità greca, e un fregio lungo 30 metri di Gustav Klimt, ispirato alla Nona sinfonia; inoltre, il compositore e direttore Gustav Mahler condusse una trascrizione per fiati dell’Inno alla gioia.

All’epoca della mostra erano trascorsi settantacinque anni dalla morte di Beethoven, ma, per i secessionisti egli rappresentava un genio assoluto, un artista universale. Essi non erano né gli unici, né tantomeno i primi a riconoscere la grandezza del musicista, il quale, già in vita, era visto come un rivoluzionario.

Prima di Beethoven, e per secoli, i musicisti avevano composto unicamente per i loro contemporanei, essendo consapevoli che i loro lavori sarebbero stati dimenticati poco dopo la loro morte. Infatti, fino all’inizio dell’Ottocento, la musica che si eseguiva era quasi tutta nuova. Un genio come Wolfgang Amadeus Mozart, appartenente alla generazione precedente a quella di Beethoven, voleva che la sua musica commuovesse e dilettasse gli uomini e le donne del suo tempo, senza curarsi dei posteri.

Beethoven fu uno dei primi compositori ad accorgersi che la sua arte l’avrebbe sopravvissuto; non solo: negli ultimi anni della sua vita scrisse pezzi, come gli ultimi quartetti, concepiti per gli ascoltatori del futuro, capaci (a suo avviso) di comprenderlo meglio dei contemporanei. In molte sue creazioni egli tenta di mostrare all’umanità una via per superarsi; l’esempio più celebre ed esplicito è l’Inno alla gioia, il coro finale della Nona Sinfonia, un’esortazione alla fratellanza universale. Il fregio di Klimt, che ora può essere ammirato in una sala del Palazzo della Secessione, traduce in un linguaggio pittorico l’anelito alla felice espresso nella sinfonia.